Chiunque studia comunicazione ha familiarità con i concetti di frame, stereotipo, doppio standard nei mezzi di informazione. Queste “cornici di realtà” (come le definisce Marco Bruno) si applicano al racconto dei grandi fenomeni dei nostri tempi, come le migrazioni. Queste categorie non sono soltanto esplicite ed immediatamente visibili, ma anche implicite e infuse in una comunicazione apparentemente più “tecnica” e specialistica, come quella sportiva. Mi riferisco a un articolo apparso sulla rivista online Undici intitolato “Baku non piace a nessuno” di Angelo Fasano http://www.rivistaundici.com/2019/05/29/baku-polemiche-europa-league/ . Undici è una rivista sportiva molto patinata la quale – parole prese dal “chi siamo” del suo sito web – vuole raccontare lo sport agli italiani con un linguaggio “alto”. Parlando della scelta di Baku come sede della finale dell’Europa League di calcio, l’autore si mantiene in un crinale tra il registrare le perplessità dell’opinione pubblica e una sua preferenza personale, orientata contro la decisione di giocare la partita nel Paese caucasico. Questo impianto viene rafforzato da una serie di semplificazioni, stereotipi e uso di doppio standard che ricorda certe narrazioni molto orientate su altri temi. Si cita ad esempio in maniera scorretta e parziale la questione  del Nagorno Karabakh. Secondo l’autore  Armenia e Azerbaigian  “si contendono il controllo della regione del Nagorno-Karabakh (NK), autoproclamatasi indipendente nel 1991”. In realtà non solo le forze dell’Armenia hanno invaso la regione Nagorno Karabakh, ma anche altre 7 distretti adiacenti alla regione stessa provocando l’esodo di circa 1 milione di azerbaigiani verso altre zone del Paese. La comunità internazionale riconosce, tanto il NK quanto gli altri territori occupati,  come parte integrante dell’Azerbaigian; principio stabilito in quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La controprova è che nessuno Stato al mondo riconosce la cosidetta “repubblica del Nagorno Karabakh”. Inoltre gli sfollati del NK e degli altri territori sono classificati dall’Onu come IDP (Internally DIsplaced Persons). Come dice la parola stessa  se sono interni provengono dall’interno di un Paese e non attraversano un confine internazionalmente riconosciuto. Capisco la semplificazione di un giornale sportivo e la necessaria sinteticità degli articoli ma sarebbe stato molto semplice e rapido scrivere che le forze dell’Armenia occupano circa il 20% del territorio azerbaigiano e che l’Azerbaigian è tra i Paesi al mondo col più alto numero di IDP in relazione alla popolazione. Non presentare la questione NK come una bega da cortile. Vi è poi un’altra circostanza: la scelta di un giocatore armeno dell’Arsenal di non partecipare  la finale per paura di rappresaglie da parte degli azerbaigiani. Nella ricostruzione appare omessa la circostanza che il governo azerbaigiano, attraverso numerosi rappresentanti incluso un esponente dell’Amministrazione del Presidente dell’Azerbaigian in visita in Italia in questi giorni, ha più volte affermato che non vi era alcun problema nelle garanzie di sicurezza del giocatore. Io stesso, nel 2015, ho visto sfilare la squadra armena alla cerimonia degli Eurogames di Baku. Non mi risulta che gli atleti armeni abbiano avuto problemi. Senza entrare nelle scelte personali e nelle convinzioni politiche di sportivi e commentatori si può affermare che quel “sia costretto” di cui  scrive Fasano è quanto meno opinabile e che andrebbero rappresentate le diverse posizioni. Per concludere l’articolo riporta un’ invettiva di Jurgen Kloop sui voli per Baku. Esistono dei voli diretti per la città caspica, tanto da Londra quanto da Milano. Circa 5 ore da l Regno Unito e 4 dall’Italia. Sono voli assolutamente normali. Col massimo rispetto per il vincitore della Champions League non ricordo lamentele di Kloop o di altri rispetto ai mondiali in Russia, la cui distanza dalle capitali occidentali è più o meno quella di Baku. Nessuno vuole fare un’apologia dell’Azerbaigian. Nessun paese nel mondo è perfetto; ma una visione più equilibrata e approfondita sarebbe utile all’informazione dei lettori. Altrimenti il rischio è di cadere nello stereotipo e di rappresentare l’altro – quasi sempre un altro più scuro di noi e con un’appartenenza religiosa o etnica diversa – come qualcosa di soltanto negativo ed ostile quando la realtà è sempre più complessa. <

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