Nel giorno della memoria vengono celebrati i “giusti” cioè coloro che, generosamente e a rischio della vita, salvarono migliaia di ebrei dal programma di sterminio della Germania nazista come Oskar Schindler, Giorgio Perlasca, Raoul Wallemberg e altre migliaia i cui nomi sono conservati allo Yad Vashem di Gerusalemme.
Era il marzo del 1944 quando Hitler costrinse il reggente ammiraglio Horty ad accettare un governo filo-tedesco per evitare l’occupazione dell’Ungheria. Fu allora che “un esercito di politici, supervisori, coordinatori e consiglieri tedeschi invase il Paese” (Hilberg, 1999).
Partiva da Mathausen, in quei giorni, il Sondereinsatzkommando (gruppo speciale di intervento) dipendente dall’Ufficio di sicurezza del Reich e al comando del tenente colonnello delle SS Adolph Eichmann. Iniziava la distruzione della comunità ebraica ungherese, tra le più grandi e prospere d’Europa.
La deportazione degli ebrei ungheresi avvenne rapidamente, in maniera efficace e completa: mezzo milione finì nei KZ di Auschwitz e quasi tutti vennero uccisi all’arrivo. Non si era più, però, nel 1942 o 1943. Nella primavera del 1944 la situazione politica e militare volgeva al peggio per il Reich: i sovietici avevano liberato la Russia e l’Ucraina, gli angloamericani combattevano in Italia e stavano per sbarcare in Francia, le città tedesche erano devastate dai bombardamenti. Le gerarchie delle SS, da Himmler ai vari Eichmann, Wisliceny, Becher e altri approfittarono dell’Aktion ungherese per estorcere denaro e beni alla comunità ebraica e promettere trattamenti di favore. Non è chiaro se lo fecero per accrescere le risorse delle SS, per lanciare messaggi interlocutori agli alleati angloamericani o per fini personali: probabilmente per tutte queste ragioni.
Ed è qui che entra in campo la vicenda di Rudolf Kastner e del suo treno.
Kasztner Rezsö, così era conosciuto nella versione magiara, fu uno dei personaggi più controversi della storia della Shoah. Per Kastner (la cui vicenda ha segnato fortemente, prima del processo Eichmann, l’opinione pubblica israeliana) il nodo storico non è mai stato sciolto con chiarezza: fu un salvatore degli ebrei o un cinico approfittatore delle sofferenze degli ebrei ungheresi?
Kastner, nato a Cluj nell’attuale Romania, era un leader sionista che operò in Ungheria negli anni della seconda guerra mondiale. Insieme a Joel Brand (noto per il tentativo di “comprare” dai nazisti la vita di 1 milione di ebrei europei) fondò nel 1943 un Comitato di assistenza e soccorso che aveva il compito di favorire l’emigrazione e sottrarre così la popolazione ebraica alle deportazioni verso i campi di sterminio. Kastner negoziò con Wisliceny ed Eichmann l’acquisto di un vero e proprio “train de vie”: 1640 persone vennero caricate su un treno diretto verso la Svizzera e la salvezza. Ma è proprio su questo punto che negli anni Cinquanta nacque la polemica sulla vera natura del gesto di Kastner. Per la composizione dei passeggeri “prepararono dieci elenchi: Ebrei ortodossi, sionisti, Ebrei importanti (Prominenten), orfani, rifugiati, revisionisti. Una delle categorie era “paganti”. La ripartizione, dal punto di vista geografico era leggermente squilibrata: 388 persone, tra le quali il suocero di Kastner venivano da Cluj in Transilvania” (Hilberg, 1999). Tutti i passeggeri del Kasztner-Transport raggiunsero la Svizzera nell’ottobre del 1944. Insomma: fu un complice degli assassini approfittando dell’Olocausto per salvare i propri concittadini e familiari e fare affari con le SS o fu un salvatore di vite, come Schindler e Perlasca? Emigrato in Israele e divenuto un importante esponente del partito Mapai, per la sua selezione Kastner fu processato fu condannato in un clamoroso processo che ne mise in luce le responsabilità. Tra le accuse rivoltegli quelle di aver tenute nascoste, in cambio della vita dei “suoi” ebrei, le notizie sui campi di sterminio e di aver scoraggiato atti di resistenza da parte della comunità ebraica ungherese. Fu poi assassinato con “tragica ironia” – come scrive Jonathan Littell ne Le Benevole (2006) – nel 1957 da estremisti della destra israeliana e successivamente riabilitato dalla Corte suprema di Israele. Ma qual è la verità?
A fornire una importante chiave interpretativa è Il noto di saggio di Zygmunt Bauman Modernità e Olocausto (1989). Lo stesso sociologo polacco cita brevemente il sionista ungherese così come raccontato da Hanna Arendt in Eichmann a Gerusalemme: «continuò a vantarsi di essere riuscito a salvare “ebrei illustri”, una categoria definita ufficialmente dai nazisti nel 1942, come se anche per lui un ebreo famoso avesse maggiormente diritto di un ebreo comune a restare in vita» (Arendt, 1967). Per Bauman una delle caratteristiche centrali che certificano la “modernità” dell’Olocausto è certamente la cooperazione forzata delle classi dirigenti ebraiche in Europa orientale. Non che la mancata collaborazione, (in certi casi vi fu addirittura resistenza) dei vari Judenrat non avrebbe condotto comunque la popolazione ebraica all’annientamento. Ma senza la cooperazione delle stesse vittime, che supportarono i nazisti in immani compiti burocratici e amministrativi, l’Olocausto non sarebbe stato unico. Sarebbe stato un caso, enorme ma come altri, di “coercizione e violenza di massa esercitata su una popolazione disarmata da conquistatori assetati di sangue e guidati dal desiderio di vendetta e dall’odio collettivo” (Bauman, 1989). Le forme di aiuto prestate dalle élites ebraiche certificano, per Bauman, la modernità dell’Olocausto come espressione di un moderno modello di azione razionale; l’immagine di una nuova forma di potere, capace di attuare un’opera di sterminio attraverso il suo pieno esercizio all’interno della società moderna. L’Olocausto è rappresentato, con maggiore efficacia, dal “normale” esercizio del potere più che dalla misura della violenza votata al genocidio. La mediazione della struttura di potere delegata – cioè le classi dirigenti ebraiche – è l’elemento distintivo e unico dell’Olocausto. Nei genocidi dell’esperienza storica del XX secolo – basti pensare al massacro degli armeni che iniziò il 24 aprile 1915 proprio a partire dall’eliminazione delle élites – si decapita prima la classe dirigente poi si colpiscono le masse; nella Shoah il rapporto si inverte. I dirigenti ebrei vengono caricati di ruoli e responsabilità e diventano “componenti dell’assetto sociale destinato a distruggerli” (Bauman, 1989). Gli ebrei diventano così parte di un meccanismo sociale di potere di carattere più avanzato, una nuova forma coercitiva più efficace e razionale: cioè “moderna”.
In questo “tortuoso percorso verso Auschwitz” si inserisce l’esperienza di Kastner. Le classi dirigenti ebraiche dell’Europa orientale, scrive Bauman, si trovarono di fronte agli infiniti bivi delle eccezioni e dei favoritismi. Gli individui e i gruppi di potere cercarono di “salvare il salvabile” e optare per il minore dei mali possibili di fronte al male infinito dello sterminio. La regola dell’annientamento venne confermata attraverso l’eccezione del favoritismo. Bauman ne elenca diverse tipologie: gli ebrei con particolari meriti, i reduci della grande guerra, quelli che potevano pagare e così via, in forme differenziate e mutevoli. Le eccezioni prosperavano perché i nazisti le offrivano e le vittime (in condizione di farlo) razionalmente sfruttavano queste opportunità. L’essenza della macchina di potere nazista stava nel fatto che la scelta razionale di salvarsi comportava la cooperazione con le autorità del Reich, aumentando così l’efficacia della macchina dello sterminio. Naturalmente, va sempre ricordato, non mancarono nei ghetti e nei KZ eroiche resistenze, rifiuti e scelte tragiche come i suicidi. Nessuno, nemmeno il famigerato Rumkowski che guidava il ghetto di Łódź , avrebbe voluto svolgere quel ruolo. Eppure proprio il meccanismo di scelta (apparente) imposto dai nazisti ha favorito lo sterminio. Bauman identifica l’esperienza dell’Olocausto nello iato tra la razionalità dell’attore (in questo caso i dirigenti ebrei) e la razionalità dell’azione, cioè lo sterminio. La prima da un lato è svuotata di significato e dall’altro è funzionale a rafforzare la seconda. In questo iato si inserisce Kastner. Nell’estate del 1944 era solo a Budapest, circondato dalla morte e con l’incarico auto-assegnato di salvare vite umane; lo fece scendendo nel terreno imposto dai dominatori secondo le scelte più razionali possibili: salvare la famiglia, i concittadini, far pagare i ricchi per reperire risorse per Eichmann e così via. “La razionalità dei dominati” – conclude Bauman – “è nel migliore dei casi un’arma a doppio taglio”. Anche Kastner è comunque una vittima.
Ciò che queste storie e il giorno della memoria portano alla riflessione è che l’Olocausto è stata l’esperienza più tragica e più profondamente moderna del XX secolo. La modernità, il pensiero razionale, l’evoluzione tecnologica e sociale possono contenere orrori e “doppi oscuri” come raccontato da Ferrarotti nel suo La tentazione dell’oblio Razzismo, antisemitismo e neonazismo (2001). L’illuminismo rovesciato reca i germi del razzismo e dell’antisemitismo. La cancellazione della memoria favorisce il ritorno dell’intolleranza, il processo di modernizzazione senza etica rafforza il rischio della deriva autoritaria. Memoria ed etica sono gli unici anticorpi contro il rischio del razzismo, l’antisemitismo, l’intolleranza.
Giorno della memoria. Il caso Kastner
