Due temi fondamentali che hanno scatenato un dibattito internazionale dopo i fatti di Parigi dello scorso 13 Novembre. In Italia i media mainstream hanno informato l’opinione pubblica con differenti e varie modalità comunicative, alternando toni belligeranti a più distensivi: due esperti ci aiutano a capire connessioni religiose e implicazioni militari.

Religione. Il professor Vincenzo Pace insegna Sociologia delle Religioni nell’Università di Padova: “non c’entra nulla il Corano, l’Isis lo usa come strumento politico di guerra”. Lo scopo principale dell’interpretare in modo sbagliato, rozzo e violento il linguaggio del libro sacro degli islamici è “polarizzare, radicalizzare parte dei musulmani”, primi e veri destinatari della propaganda dell’autoproclamato Stato islamico.

Questo “uso politico” ha “impoverito l’Islam, riducendolo a slogan, senza spessore culturale, trasformato in pillole”. Il docente padovano spiega che il libro sacro islamico “vieta di uccidere nemici non in armi, vale a dire civili e inermi, non parla di violenza contro i Crociati ma contro i politeisti, che sono i veri infedeli” oltre ad invitare a “ricercare segnali di tregua tra le parti per giungere ad una soluzione”.

Il professor Pace ha mal sopportato alcuni titoli di quotidiani che equiparano la religione islamica al terrorismo “denotano un pensiero e un atteggiamento neo-coloniale, una superiorità rispetto ai musulmani che vivono in Europa ritenendoli incompatibili con i valori occidentali”. Non solo: “quei titoli vanno a favore della propaganda dell’Isis, facendo percepire una guerra di religione”. Infine Vincenzo Pace sottolinea il ruolo “importantissimo” delle comunità islamiche in Italia, poichè “è fondamentale la mediazione culturale tra i musulmani in Europa, per capire l’origine del fanatismo, e verso l’esterno la necessità del dialogo con le altre religioni e con le istituzioni statali”. Il rischio è che “la religione islamica rischia di essere distrutta dal terrorismo, poichè ne dà una versione caricaturale”.

Guerra al terrorismo. “Operazione militare difficile e tempi lunghi ma l’Is deve essere eliminato!” Ne è convinto Marco Maiolino, esperto di Relazioni Internazionali e collaboratore di Itstime, centro di ricerca multidisciplinare dell’Università Cattolica di Milano.

A proposito delle strategie da porre in atto, parla di “breve e lungo periodo”. Il primo riguarda “l’innalzamento dei livelli di sicurezza e l’aumento dell’azione di intelligence per scoprire network attraverso i quali l’Isis perpetra gli attentati come quelli parigini”, mentre nel secondo “bisognerebbe lavorare integrando le comunità islamiche e non solo ed implementando politiche serie per l’immigrazione”, infine “una risoluzione e stabilizzazione, molto difficile, del Medio Oriente”.

Riguardo gli errori occidentali primo fra tutti c’è il “non aver sdradicato militarmente l’Isis quando è stato fondato nel giugno 2014, periodo in cui era più debole e meno espanso”, oltre a non avere avuto “una strategia di stabilizzazione di lungo periodo per quelle zone dopo l’11 Settembre e la guerra in Iraq del 2003”.

Tutto questo si aggiunge alle “difficoltà di coordinamento,diplomatiche e negoziali tra i diversi interessi statali” nel risolvere la situazione e all’ambiguità di alcuni Paesi presenti “alla riunione del G20 che contemporaneamente dichiarano di combattere l’Isis ma la finanziano come l’Arabia Saudita” oppure “la Turchia che vuole combattere contemporaneamente contro l’Is ed eliminare i curdi”. Inoltre Maiolino evidenzia il “problema” dei foreign fighters, ossia coloro che partono e si arruolano “non solo nelle file dell’Isis ma anche in Siria per Al Nusra e per le altre fazioni ” che ammontano a “più di quattromila in Europa e 87 in Italia”. I motivi che spingono queste persone “tutte tra i 18 e i 30 anni”, sono soprattutto “le condizioni socio-economiche, ma anche fattori religiosi, ideologici e psicologici”.

Infine un elemento ritenuto fondamentale “il bisogno di affiliazione, che consiste nel cercare di essere utile alla comunità e lasciare il segno”, specialmente se si tiene conto “del modello eroico, di combattente, di fratellanza e condivisione esercitato e comunicato dall’Isis”. E parlando del potere comunicativo del sedicente Stato islamico, l’esperto in Relazioni Internazionali parla di “genialità”, perchè “mantengono costantemente la percezione dell’attacco e del terrore”. Il loro scopo principale non sono tanto i morti ma “l’incutere terrore e paura, diffondere l’insicurezza nella vita quotidiane”.

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