Google punta al giornalismo. E non solo drenando risorse pubblicitarie o sfruttandone i contenuti, come lamentano molti editori. Collaborazioni con otto giornali del Vecchio Continente, finanziamenti al Digital News Report del Reuters Institute per analizzare abitudini di lettura e consumo di news in 20 paesi europei e un progetto, il News Lab, per aiutare giornalisti e imprenditori «a costruire il futuro dei media» attraverso i servizi di Mountain View. Ecco alcune delle iniziative varate dal gigante americano nel campo dell’informazione. Poi c’è Google Trends. Le redazioni politiche di The Guardian o di Cnn lo hanno già usato per documentare le ricerche degli utenti sui candidati alle elezioni nel Regno Unito o per le primarie per le presidenziali statunitensi. Data journalism, si dice così.
COSA CERCA LA GENTE, ADESSO Da anni Google Trends è a disposizione delle redazioni. Ma dal 17 giugno è possibile conoscere “in tempo reale” cosa cercano gli utenti sul web. Non più un archivio “storico”, anche se di poche ore, delle tendenze di ricerca nel mondo o in una determinata area. Quello che appare a video è un termometro immediato delle intenzioni, degli interessi e dei video che vanno per la maggiore. O che stanno per andarci. Il servizio è attivo in 28 paesi. Italia inclusa. Un grafico visualizza i picchi nel tempo, il peso in fatto di interesse e quanto riscontro abbia una certa ricerca – live e in misura cumulativa – nelle news in rete (mostrando un elenco degli “articoli più pertinenti”). Aspetto quest’ultimo che permette, ad esempio di rilevare se un argomento è generato dal sistema mediale (il caso dell’attentato di Lione e la chiave di ricerca “Francia Stato Islamico”) o se si tratta di qualcosa che è sfuggito al circuito dell’informazione.
IL GIORNALISTA “STORICO DELL’IMMINENTE”? La grande G è convinta che questo gioiellino finirà nelle mani di cronisti e redattori: lo usano già e per migliorarlo ne ha interpellati a centinaia. Le tendenze di Google – aggiornate in tempo reale – potrebbero infatti aiutarli a intravedere eventi e fenomeni, quasi prima che accadano o non appena iniziano a emergere. Dal giornalista “storico del presente”, della celebre definizione di Eco al giornalista “storico dell’imminente”? A guardar bene il vecchio cronista di nera o il fotoreporter che usava lo scanner sulle frequenze della polizia o dei servizi di emergenza per arrivare tra i primi sul luogo del delitto non era molto diverso. Solo che, nella maggior parte dei casi, il suo lavoro non sarebbe stato pubblicato immediatamente, come accade oggi.
STORIE NASCOSTE Diverso discorso se l’oggetto della notizia è il dato restituito da Google Trends. “Cosa cerca la gente mentre è in corso un evento di grande risonanza?”. “Ci sono argomenti che stanno accendendo l’interesse dei pubblici e sono ignoti ai mass media?”. Usare Google Trends non è origliare le voci delle centrali di emergenza. Non è neppure scrutare ciò che emerge su Twitter, nel quale il tweet si presume sia un atto di comunicazione consapevole. È qualcosa di più profondo. È andare a osservare i comportamenti, le intenzioni – (“Google è il database di intenzioni”, diceva John Battelle) – è pure scrutare le emozioni e ricavarne dati preziosi per orientare le scelte redazionali. Proprio mentre stanno accadendo. Tanto per i temi da privilegiare, quanto per le “storie” da raccontare.
AGENDA SETTING E PRESENTE CONTINUO In teoria Google Trends si presta a generare storie che siano già adatte a entrare negli argomenti che fanno tendenza. Non solo a raccontarli. Insomma, si potrebbe concludere che siamo di fronte a un’altra manifestazione – ma a livello giornalistico – di quel “presente continuo” di cui ha parlato il teorico dei media Douglas Rushkoff. Google Trends rientrerebbe, in altri termini, nella stessa corrente culturale di Google Instant, il servizio che cerca di predire cosa stai per cercare mentre digiti o di Google Now che cerca di anticipare i tuoi comportamenti. Una sorta di inseguimento del futuro a fini editoriali in grado di influire sull’agenda setting, scartando notizie che i cittadini “dovrebbero conoscere”, ma che non fanno tendenza. Come altre innovazioni, è uno strumento che serba in sé promesse e minacce. Quali quelle nascoste nell’algoritmo che lo governa e condiziona, anche se Google assicura di pubblicare dati grezzi. Vale a dire una serie di istruzioni delle quali non sai un granché.