Google, nel Regno Unito, ha rimosso dai risultati delle ricerche i collegamenti alle pagine web relative a un crimine di una decina di anni fa. La ragione? È stata applicata, su richiesta dell’interessato, la celebre sentenza del 2014 della Corte di giustizia europea sul diritto a esser dimenticati. Almeno dai motori di ricerca, parificati a una qualunque banca dati dalla quale chiedere di esser cancellati. Senonché l’eliminazione di quel reato dal database di Google in questa occasione, a Londra, “ha fatto notizia”. E la rimozione è divenuta, a sua volta, oggetto di articoli giornalistici. Una beffa, insomma, per chi sperava di seppellire definitivamente gli echi di una vicenda sgradevole e che così invece ha riportato i riflettori su una storia di due lustri fa. È un po’ lo stesso effetto perverso, in versione web, di quanto sconsiglia di fare un celebre ammonimento giornalistico, attribuito ora a Mario Missiroli, ora ad Andreotti: «Una smentita è una notizia data due volte». D’altra parte si tratta dell’identica nemesi che colse il signor Mario Costeja González, il cittadino che “provocò” per primo la storica decisione della Corte Ue sul diritto all’oblio. Agì allo scopo di esser dimenticato e finì invece sui giornali di tutta Europa, assieme alla storia di immobili messi all’asta di cui avrebbe volentieri fatto a meno si parlasse ancora.

LA CANCELLAZIONE DEL RICORDO LO RINNOVA. Questa volta nel Regno Unito, di fronte agli articoli che raccontano della cancellazione dei link al reato di 10 anni or sono, il diretto interessato ha preteso che Google togliesse di mezzo tutto. Pure le news di questi giorni. Riportando la notizia infatti raccontavano, di nuovo, fatti ormai vecchi (e si suppone sgraditi). La risposta di Mountain View al cittadino britannico, però, è stata negativa: si tratta di notizie recenti e di pubblico interesse. Il loro oggetto è la rimozione dei collegamenti, non il crimine in sé. Le regole sull’oblio non possono scattare, perché riservate a fatti secondari o comunque non di rilevanza pubblica. Ma il Garante della privacy del Regno Unito, l’Information Commissioner’s Office (ICO), ha preso le difese del ricorrente e ha avanzato la pretesa che il Google elimini tutti i nove collegamenti agli articoli entro 35 giorni a far data dal 18 agosto. Gli originali, comunque, potrebbero restar completi di ogni informazione sul sito nel quale sono stati pubblicati.  Non dovranno solo essere più ricercabili. Resta da vedere cosa farà Google. Ma altri quesiti, comunque finisca il braccio di ferro, si pongono. E il diritto di cronaca? E quello all’informazione, che fine fanno? «Siamo consapevoli – dice David Smith dell’ICO – che i links rimossi a seguito di questa decisione sono qualcosa di cui i giornali vogliono scrivere. E abbiamo capito che la gente ha bisogno di essere in grado di trovare queste storie attraverso i motori di ricerca come Google». Ma quello che non è necessario, secondo il Garante inglese, è che essi appaiano tra i risultati quando si cerca il nome di chi ne ha chiesto la rimozione. Di contro possono essere letti se ci si incappa cercando altro. Una soluzione salomonica, verrebbe da dire, che però tradisce una difficoltà di fondo: voler assicurare il diritto all’oblio in un mondo nel quale regnano iperdistribuzione delle informazioni e intrinseca incapacità del web a dimenticare.

GOOGLE DIMENTICA, MA SOLO IN EUROPA. Acrobazie che un’altra Autorità garante dei dati personali, stavolta francese, ha già compiuto nel giugno scorso. E sempre alle prese con il diritto all’oblio e con le dinamiche della rete. Le informazioni che gli utenti riescono a ottenere siano nascoste dai risultati delle ricerche su Google in uno dei paesi Ue, appaiono invece “senza filtro” se si accede a www.google.com. O se le si cerca su una qualsiasi versione extracomunitaria. Ciò a prescindere se si stia navigando dall’Italia, dalla Germania o fuori dall’Unione europea: basta cambiare il dominio di Google (.com, .ch, .ca eccetera) e il gioco è fatto. Quel che è invisibile sul conto di una persona usando il motore nella versione comunitaria diviene “magicamente” visibile nelle altre, permettendo, da un lato, di aggirare agevolmente il divieto e, dall’altro, di dare ai non europei una sorta di vantaggio conoscitivo, e talora competitivo, sui dati – spesso imbarazzanti – dei cittadini europei. A questo annacquamento del diritto, la Francia ha reagito duramente. Google si è detto disposto a dimenticare, rispettando le prescrizioni della Corte Ue, però solo in Europa. «Noi crediamo che nessun paese dovrebbe avere il potere di controllare a quale contenuto può accedere una persona in un secondo paese». È stata questa  la risposta che Mountain View ha dato alla Commission Nationale Informatique et Libertés (Cnil), il garante della privacy transalpino. La pretesa della Francia, formalizzata il 12 giugno scorso, era che il diritto all’oblio fosse applicato non solo nelle versioni europee del motore di ricerca, bensì a livello planetario. Qualunque fosse l’estensione di dominio. «Se l’approccio del Cnil diventasse lo standard su Internet – ha ribattuto Google – saremmo trascinati in una corsa verso il fondo, dove il web sarebbe libero soltanto come il posto meno libero del mondo».

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