Nella iper-connessa società odierna l’emersione della cultura partecipativa ha trovato nella crescente diffusione delle piattaforme di condivisione e di disintermediazione il suo ideale terreno di coltura.
Piattaforme come YouTube, Flickr, Soundcloud, Facebook, Twitter hanno infatti contribuito all’esplosione dei contenuti generati (o “rigenerati”) dagli utenti e hanno consentito di sperimentare forme nuove di partecipazione attorno alla condivisione di informazioni e pratiche di intrattenimento, innovando le occasioni di produzione culturale.
Pensiamo per esempio quando con il nostro profilo Facebook o Instagram pubblichiamo o condividiamo post, divenendo così diffusori di vari contenuti mediali, anche se è bene sottolineare che molti di questi contenuti non rientrano nel cosiddetto fenomeno degli User Generated Content (UGC). Tale pratica nasce nei primi anni del Duemila, quando per la prima volta viene dato un nome alla consuetudine degli internauti di creare contenuti per il web senza passare necessariamente attraverso i canali di distribuzione ufficiali, anche se fin dall’origine l’ambiente digitale si è contraddistinto per la totale assenza di filtri che limitassero la libertà espressiva degli utenti. Tale libertà si traduce, come già accennato, nella produzione autonoma di contenuti di qualunque genere: dal testo alle fotografie, dai filmati alle tracce audio, sino a vere e proprie creazioni artistiche realizzate con mezzi informatici.
Con l’avvento del web 2.0 gli orizzonti si sono ulteriormente allargati sia per i produttori di contenuti che per le aziende che si occupano di comunicazione, per le quali lo sviluppo degli UGC ha rappresentato una svolta importante che ha portato alla nascita di nuove forme di collaborazione con gli utenti, attraverso la creazione di ambienti e strumenti che hanno permesso ai non professionisti di pubblicare i propri contenuti in luoghi importanti.
Il primo grande esempio di attenzione verso la produzione della base da parte dei grandi media arriva dalla BBC, che nell’aprile del 2005 ha creato un ufficio apposito, YourNews, per ricevere e organizzare il materiale inviato dagli internauti. Nel 2006 è la CNN a lanciare iReport, progetto col quale si invitano gli utenti e i citizen journalists a condividere le loro storie con le notizie della redazione per discutere e farsi sentire. Anche Fox News ha aperto una sezione, chiamata uReport, che ospita i podcast caricati dagli utenti distribuiti in aree tematiche.
Cambia anche la modalità per organizzare i contenuti in rete, si passa dunque dal modello stickiness, che utilizzava tecniche per tenere “incollati” gli utenti al proprio sito Internet, al modello syndication, che invece si avvale di un’organizzazione dinamica di collegamenti e aggiornamenti che fa uso di tecniche e tecnologie più sofisticate come Feed RSS o thread su newsgroup. Al centro dell’attenzione viene posto l’utente e non la struttura della pagina web.
Tuttavia l’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel suo report del 2007 intitolato Participative Web: User-Created Content individua i tre tratti caratterizzanti tali fenomeno, restringendo drasticamente le categorie di contenuti che possono rientrare in tale definizione.
In primo luogo sono necessari i cosiddetti requisiti di pubblicazione, in base ai quali teoricamente i contenuti devono essere pubblicati in un certo contesto, sia esso un sito web accessibile al pubblico o una pagina su una piattaforma di social networking fruibile solo a un gruppo selezionato di persone. Sono quindi esclusi contenuti diffusi tramite e-mail, chat e simili.
Importante è poi lo sforzo creativo: gli UGC infatti, richiedono che una certa quantità di sforzo creativo sia stato messo nella realizzazione dell’opera o nell’adattamento di opere esistenti per costruirne di nuove: gli utenti devono aggiungere il proprio valore al lavoro. Lo sforzo creativo ha spesso anche un elemento di collaborazione, come avviene con i siti web in cui gli utenti possono modificare contenuti in modo collaborativo. Tuttavia, la quantità minima di sforzo creativo è difficile da definire e dipende dal contesto.
Inoltre per essere considerati tali, è fondamentale la creazione dei contenuti al di fuori di routine e pratiche professionali. Possono essere prodotti da non professionisti, senza l’aspettativa di profitto o di retribuzione, e non hanno quindi un contesto di mercato commerciale o istituzionale. Fattori motivanti per la produzione di contenuti possono essere l’entrare in relazione con gli altri utenti, il raggiungere un certo livello di fama, notorietà o prestigio, e il desiderio di esprimersi.
Tali caratteristiche circoscrivono quindi il fenomeno distinguendolo, al contempo, da quello dei semplici contenuti caricati dagli utenti rispetto ai quali non è presente alcuno sforzo creativo, sia pur minimo, e ci si limita a condividere online contenuti realizzati da terzi (quasi sempre di tipo commerciale). I contenuti generati dagli utenti, dunque, in linea di principio, sono creati fuori dall’ambito di attività economiche o professionali per motivazioni che possono essere di diversa natura: da quella prettamente filantropica a quella di autoaffermazione o, ancora, a quella di appartenenza a una community o al desiderio di crearla.
Anche nel rapporto OFCOM del 21 giugno 2013, The Value of User-Generated Content, ai fini di una definizione maggiormente flessibile, si ritiene che sia indispensabile la presenza di uno sforzo proteso alla creazione di un contenuto mediale di qualsiasi natura e che questo venga reso disponibile sul web o altre piattaforme connesse in rete. Altro requisito importante è che il contenuto, anche se non prettamente amatoriale, non rappresenti la principale fonte di guadagno per l’autore.
Per alcune caratteristiche peculiari gli UGC potrebbero essere accomunati anche ai social media dato che nella definizione di Wikipedia anche in tali ambienti gli utenti interagiscono tra di loro per creare, condividere e scambiare informazioni e idee. Quindi per i ricercatori dell’OFCOM i social media e gli UGC potrebbero rappresentare due aspetti dello stesso fenomeno.
L’attività relativa agli UGC, in origine, veniva posta essenzialmente su una base amatoriale piuttosto spartana; oggi con la penetrazione della banda larga, la diffusione di device sempre più sofisticati, il basso costo e la disponibilità di strumenti software, tale pratica è divenuta estremamente accessibile ottenendo in alcuni casi dei prodotti professionali di alta qualità che impegnano blogger, musicisti, registi, scrittori, fotografi e così via.
Tuttavia, negli ultimi cinque anni si è assistito all’ascesa di un’attività di diverso livello, convogliata più verso una social curation nella quale l’engagement degli utenti è focalizzato sul commentare, giudicare o collating piuttosto che verso la creazione di contenuti originali: in tale situazione gli utenti cercano e selezionano in rete una serie di contenuti di qualità inerenti un tema a cui sono interessati, in modo da renderli fruibili in modo veloce, semplice e immediato ad altri che abbiamo le medesime esigenze relativamente a quell’argomento. Un esempio tipo è la piattaforma nata proprio per la content curation, cioè Pinterest, che permette di categorizzare e condividere con il proprio network contenuti mediali all’interno di board tematiche per facilitare la ricerca degli utenti.
Tale attività di social curation sta acquisendo un grande rilievo all’interno della rete in quanto è molto facile perdersi nell’overload di contenuti che il web mette a disposizione, e tali piattaforme si rivelano un punto di riferimento e una fonte influente per informazioni e contenuti relativi a uno specifico argomento facilitando il lavoro dell’utente e al tempo stesso accrescendo il valore del curatore che le mette a disposizione.
In principio l’attività relativa agli UGC era da considerarsi essenzialmente di nicchia, in seguito con il diffondersi dell’utilizzo social del web, che ha impegnato i settori più diversi quali la politica, l’intrattenimento, lo sport e le arti, si è assistito a una partecipazione massiva degli utenti, e d’altro canto queste pratiche di fruizione sono state un vero e proprio driver per l’adozione delle nuove tecnologie di comunicazione, soprattutto smartphone e tablet.
La maggior parte degli utenti creatori di contenuti non trae vantaggi economici a seguito di questa attività, la ricerca dell’OFCOM individua i driver principali che spingono le persone verso questo tipo di pratica:
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Autoespressione
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Capitale sociale
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Altruismo
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Costruzione di una posizione Maven, ovvero utente esperto e conoscitore in uno specifico campo (per esempio nei forum dedicati)
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Sviluppo personale
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Costruzione di carriera
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Essere parte della “conversazione pubblica”
Si possono così individuare nuovi modelli di business emergenti:
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Contributi volontari e campagne di crowdfunding, attraverso i quali si partecipa a progetti ideati dagli utenti sia dando la propria disponibilità a collaborare, come nel caso di Wikipedia, sia con donazioni in denaro per la realizzazione dei progetti stessi.
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Abbonamenti sottoscritti dagli utenti per poter usufruire di particolari servizi messi a disposizione dalla piattaforma, come avviene per esempio con l’abbonamento “pro” di Flickr, oppure si stabilisce un certo prezzo per accedere ai contenuti creati dagli utenti, come nel caso degli ebook pubblicati sul sito di Meetale.
Le aree in cui si esprime maggiormente la produzione degli UGC sono quelle politiche, sociali, economiche e culturali: essa si mostra in grado di guidare l’innovazione nel settore tecnologico e stimola il sorgere di nuovi modelli di business. In campo sociale allarga la platea mediatica per la partecipazione politica e alimenta il dibattito culturale, mentre in campo economico crea nuove opportunità sia per gli operatori storici del settore sia per i new comers.
Numerose e diversificate sono infatti le aziende nuove ed emergenti che nascono nell’ambito di questo fenomeno: società che si occupano di hardware e software, soprattutto per quanto riguarda il proliferare di programmi, anche gratuiti, per creare e modificare contenuti di UGC.
Un’altra area in espansione è quella relativa alle piattaforme per l’upload, l’hosting e la condivisione dei contenuti, come per esempio il popolare YouTube o altri servizi di nicchia come SlideShare o servizi di blogging come WordPress. Sempre in ascesa le piattaforme di social networking, tra cui spiccano recentemente Pinterest e Instagram. Infine da non dimenticare gli aggregatori di contenuti che aiutano gli utenti a navigare tra i contenuti online, tra cui Amazon che si occupa anche del settore editoriale.
Esistono in ogni caso dei risvolti negativi legati alla continua diffusione degli UGC, in particolare si pone l’attenzione sulla frammentazione culturale cui potrebbe dar luogo l’aumento indiscriminato dei contenuti che diventa a volte disorientante per i consumatori. Un altro aspetto importante riguarda la sicurezza e la privacy che sono potenzialmente messe in pericolo proprio dall’eccessiva esposizione mediatica.
Altre problematiche inoltre riguardano ulteriori aspetti quali la possibilità di accesso alla Rete da parte degli utenti e quindi la scarsa disponibilità della banda larga, la tutela della proprietà intellettuale, la protezione e lo sfruttamento dei dati.
Dunque si prende atto che il fenomeno degli UGC non sia più relegato entro gli angusti confini dell’amatorialità, ma possa essere anche il frutto di un’attività professionale (sia pur non direttamente retribuita) che si avvale della viralità del contributo come forma di promozione o di incremento della propria reputazione online.
Indubbia è dunque l’importanza che assumono i contenuti creati dagli utenti, che hanno ripercussioni, sia positive che negative, in campo economico, culturale, sociale e politico. Riguardo all’aspetto economico, si è già accennato alle numerose opportunità lavorative a cui questo fenomeno ha dato luogo, creando nuovi modelli di business soprattutto nelle aree della tecnologia e della comunicazione, dove è importante sottolineare proprio il ruolo svolto dagli UGC in questo ambito, soprattutto riguardo al fenomeno della disintermediazione (termine collegato a un libro per certi versi profetico, The Next Economy, scritto nel 1983 da Paul Hawken).
La possibilità di usufruire informazioni affrancandosi di fatto dalle tradizionali agenzie di mediazione investe una molteplicità di ambiti, come visto in precedenza, dal giornalismo alla produzione culturale, dalla politica ai sistemi informativi facendo riferimento ai modelli partecipativi orizzontali, contrapposti a quelli gerarchici, descritti da Raymond con le etichette bazaar vs cattedrale.
Tuttavia, a fronte di una tale democratizzazione dell’informazione, si segnalano alcune posizioni nettamente contrarie, le quali segnalano un’eccessiva marginalizzazione dei modelli tradizionali. Una di queste radicali contrapposizioni a tali modelli partecipativi orizzontali viene espressa da Lovink, il quale attacca apertamente quello che viene definito mediattivismo, ovvero l’uso flessibile e situazionistico dei mezzi di comunicazione utilizzato per generare azioni collettive e cambiare lo stato delle cose. Attraverso tale modalità partecipativa gli utenti possono narrare e criticare gli eventi sociali con l’uso dei personal device, condividendo foto, video o pubblicando post. Gli attivisti oggi si riversano sui social network di nuova generazione, come Twitter o Facebook, ma secondo Lovink quello che si sta delineando è uno scenario critico e distopico, in quanto tali strumenti si rivelano inefficaci per condurre a un reale cambiamento riallacciandosi quindi anche alla teoria di Morozov, secondo la quale la società globalizzata si sta evolvendo in maniera negativa a causa dell’utilizzo delle tecnologie digitali.
Lovink riflette sull’influenza della Rete sulla vita delle persone, sostenendo che Internet è un terreno fertile per opinioni polarizzate e utenti tendenti all’estremo. Lo spazio virtuale non può ritenersi un’oasi di libertà, ma al contrario si è trasformato in un campo di battaglia originando quei giardini recintati che sono oramai Facebook e Twitter, dato che il web 2.0 offre strumenti per filtrare sia i contenuti sia gli utenti, in modo che vengano selezionate persone che condividano gli stessi interessi e che abbiano un modo di pensare analogo. Secondo Lovink i movimenti sociali su Internet sono deboli, la Net art è destinata a scomparire lasciando il posto alla vendita e musealizzazione di opere digitali, e il network populism impazza sui media mainstream. È indispensabile che l’utente sia in grado di dominare la tecnologia, ovvero, sia comprenderne appieno l’utilizzo che lasciarla da parte quando è il momento, dato che esiste una vera e propria ossessione collettiva per il management di sé e della propria immagine virtuale. Il blog, infatti, secondo lo studioso diviene una sorta di ballo in maschera, dove gli utenti tendono a camuffare la propria identità, e anche sui social network nelle interazioni con gli amici si tende a recitare come in teatro.
Anche se alcuni degli aspetti critici sono sicuramente condivisibili, la trasformazione dell’utente consumatore in prosumer può condurre a sviluppi positivi, in quanto valorizza la creatività e l’ingegno dando origine a fertili collaborazioni fra comunità di utenti, producendo valore aggiunto ai contenuti.
In definitiva, lo studio di tali fenomeni può sicuramente rappresentare uno strumento privilegiato per comprendere verso quali orizzonti si dispiega la comunicazione in rete e quali riflessi può generare nella realtà sociale.