Sono trascorsi quasi tre mesi dal referendum inglese che ha sancito la vittoria del “leave”, ma la “Brexit” ancora stenta a divenire realtà. Londra, infatti, non ha ancora formalmente avviato le procedure necessarie a tradurre la volontà popolare in realtà politico-istituzionale. E una situazione così indefinita non sembra piacere ai vertici dell’esecutivo europeo.
Va dritto al punto il Presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 15 settembre: “rispettiamo la scelta britannica, ma l’Ue non viene messa a repentaglio dalla Brexit”. E continua: “saremmo lieti di ricevere da Londra la formalizzazione dell’uscita dall’Ue il prima possibile, per porre fine a questo periodo di incertezza. Ci impegneremo a mantenere un rapporto amichevole, tutto da ridefinire, ma è certo che l’accesso al mercato unico sarà riconosciuto solo a fronte di impegni certi sulla libera circolazione delle merci e delle persone. No ad un mercato unico a la carte”. Intanto Downing Street lavora, politicamente e diplomaticamente, per restaurare l’idea(le) di grande potenza mondiale. “Mentre molti si concentrano sulla fine della nostra membership nell’Unione – osserva a Washington Sir Alan Duncan, Ministro per le Americhe, accorso a rassicurare i cugini statunitensi – numerose porte si stanno aprendo per il Regno Unito”. “Dopo Brexit – aggiunge – saremo ancora più rivolti all’estero, all’Europa e al mondo. Il Regno Unito è e rimarrà un attore impegnato sulla scena globale”. Guardando ai fatti, per il momento il Governo di Theresa May ha creato il “Department for Exiting the European Union”, struttura responsabile della gestione dei negoziati per abbandonare l’Unione e stabilire le future relazioni bilaterali con i singoli paesi europei. Al vertice della struttura, David Davis, deputato conservatore. Parlando al vicino Stato d’Irlanda, membro convinto dell’Unione, Davis si affretta a spiegare che “Brexit non rappresenterà la fine dei rapporti con l’Europa. Ma significherà avviarne di nuovi. E non ci saranno relazioni più strette e amichevoli di quelle che esistono tra il Regno Unito e l’Irlanda”.
Ma del primo passo formale, ossia l’attivazione del famoso articolo 50 dei trattati, ancora nessuna traccia. Sempre vivo lo spinoso nodo della Scozia, che lo scorso 23 giugno si è espressa massicciamente a favore della permanenza nell’Ue. “Il Parlamento di Edimburgo ha dato mandato al governo scozzese di esplorare tutte le opzioni per proteggere le relazioni con l’Ue e affinché la Scozia non venga travolta dalla volontà dei brexiteers”, spiega Michael Russel, Minister for UK Negotiations on Scotland’s Place in Europe.
Intanto Londra e Parigi hanno concluso l’accordo per la costruzione di un muro alto 4 metri che correrà per almeno un chilometro lungo entrambi i lati della strada che conduce al Porto di Calais. L’obiettivo? Aumentare la sicurezza nell’accesso all’EuroTunnel che lega le due sponde della manica, porta d’accesso alla Gran Bretagna. Sempre calda, dunque, la “questione frontiere”.