Nel corso della storia, i mezzi di comunicazione hanno favorito l’apertura di nuovi spazi di confronto e, in qualche modo, hanno inciso a livello politico, facilitando la nascita e l’affermarsi della democrazia. Sin dalla nascita della stampa, fino all’avvento di Internet e delle varie piattaforme multimediali, le potenzialità dei mezzi di comunicazione sono state riconosciute pienamente dai poteri in carica che, di tanto in tanto, hanno escogitato limitazioni o attuato aspre censure per ridurne gli effetti. In particolar modo il web ha reso possibile la diffusione di notizie, immagini e opinioni in maniera del tutto nuova rispetto alle modalità che caratterizzano i mezzi di comunicazione più tradizionali, permettendo di bypassare gli ostacoli interposti da poteri e monopoli informativi in alcune realtà del mondo. Si pensi ai ruoli svolti da Twitter, Facebook, Youtube, Flickr durante il susseguirsi degli eventi che hanno caratterizzato le recenti Primavere arabe o i disordini in Iran a cavallo tra il 2009 e il 2010. Secondo i dati pubblicati dalla Dubai School of Government, negli ultimi anni i social media nel mondo arabo si sono rivelati i più potenti mezzi di socializzazione, interazione e organizzazione politica, capaci di oltrepassare anche i rigidi confini nazionali.
Il verificarsi di particolari eventi politici e militari negli anni più recenti ha condotto quasi obbligatoriamente a una nuova riflessione sul ruolo svolto dal web e dai social network su scala globale. Prima Al Qaeda, poi l’ISIS hanno visto negli strumenti tecnologici la via più veloce a raggiungere risultati più ampi rispetto a quelli che si sarebbero potuti ottenere con una battaglia più tradizionale, così da creare quello che è oggi conosciuto come il Cyber Caliphate che, a sua volta, rappresenta il principale sostenitore e attuatore di quella che possiamo definire la Cyber Jihad, ossia la guerra santa telematica. Il nuovo Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi ha dapprima iniziato un’intensa attività di terrore telematico portato avanti da cyber jihadisti composti da cellule di hacker dislocati in ogni angolo del pianeta con l’obiettivo di condurre cyber attacchi verso tutti quei paesi considerati infedeli o nemici. Ma oltre alle attività di cyber war, l’ISIS ha condotto anche un’intensa campagna di proselitismo e propaganda al fine di assicurare la base utile al sostegno dello Stato Islamico. E di nuovo sono stati i social network i protagonisti di questa attività di persuasione e proselitismo attraverso internet, oltre a divenire i principali strumenti di coordinamento per le cellule già stanziate in varie parti del mondo. Twitter, Facebook, Youtube, Myspace e Instagram e sono stati tra i primi social utilizzati dai jihadisti per divulgare immagini e video volti a produrre determinati effetti psicologici sugli individui di tutto il pianeta. L’utilizzo dei social network sites per l’attività di propaganda ha prodotto un notevole numero di combattenti reclutati a livello mondiale: secondo i dati elaborati della CIA nel settembre 2014, il numero degli arruolati occidentali tra le fila dello Stato Islamico oscilla tra i 20.000 e i 25.000 individui e secondo il Red Future Index i Tweet dei simpatizzanti dell’ISIS sarebbero aumentati del 250% tra la fine del 2014 e gennaio 2015. Internet e i social network si sono trasformati, quindi, da strumenti utili alla democrazia a strumenti al servizio del terrorismo, provocando la minaccia alla democrazia stessa e contribuendo ad ingigantire l’eco di questa minaccia a livello globale.
Ma come può l’Italia difendersi dalle minacce del terrorismo, soprattutto di fronte al continuo moltiplicarsi delle possibilità offerte dai nuovi strumenti di comunicazione? Durante l’incontro dal titolo “L’Italia davanti le nuove minacce internazionali” tenutosi il 30 settembre a Roma, l’attuale Presidente della RAI Monica Maggioni e il Direttore generale del Dipartimento delle Informazioni della Sicurezza Giampiero Massolo, dopo aver descritto l’evolversi degli scenari geo-politici e, di conseguenza, delle minacce a cui il nostro paese è quotidianamente esposto, hanno individuato nelle professioni giornalistiche e nei giovani i principali elementi per la costituzione di una sicurezza partecipata e di una rete per la sicurezza. Secondo quanto affermato durante l’incontro, i professionisti del mondo dell’informazione sono chiamati a porre la loro attenzione sull’evoluzione dei vari contesti, con l’impegno a creare un legame significativo tra cause ed effetti nel tentativo di prevedere le evoluzioni future in maniera precisa. Soltanto un’informazione puntuale e la conoscenza approfondita dei contesti analizzati potranno produrre una consapevolezza e una capacità di azione che possano prevenire ed evitare i traumi delle minacce del terrorismo odierno. A tal proposito i giovani dovranno essere gli artefici della diffusione di quella cultura della sicurezza attraverso il corretto utilizzo degli strumenti del web, l’alimentazione di una cultura partecipata che sia capace di diffondere la giusta conoscenza e i principi comuni che possano favorire un futuro sereno al nostro Paese.
La comunicazione ai tempi del Cyber Caliphate e l’elaborazione di una rete della sicurezza per la lotta al terrorismo
