Che storia racconta la cronaca dei media italiani dell’incontro tra Matteo Renzi e Barack Obama? La domanda è particolarmente interessante alla luce di due questioni preliminari: la strategia comunicativa ed il posizionamento politico della sinistra italiana e la risposta dei media a questa strategia e a questo posizionamento.

Renzi è a tutti gli effetti il primo leader della sinistra italiana della cosiddetta Seconda Repubblica ad aver usato con successo anche elettorale le tecniche della narrazione politica che sono divenute oggetto di grande interesse per gli studiosi di comunicazione politica dopo la campagna di Obama del 2008 (Salmon, 2007; da Empoli, 2008). Quelle stesse tecniche che sono ravvisabili sin dall’inizio nella strategia elettorale di Silvio Berlusconi (Amadori, 2002), e che Walter Veltroni aveva tentato di far sue agli esordi del PD come “partito a vocazione maggioritaria” (Rega, Ruggiero, 2011). Tecniche che comprendono l’apparizione sulla copertina di importanti periodici che difficilmente le categorie “standard” della politologia definirebbero “d’opinione” e sul palco di quello che è forse il più importante talent show in onda sulla televisione italiana, e che, unitamente con una strategia di governo difficilmente definibile come improntata al progressismo nel significato che la tradizione della sinistra e poi del centrosinistra italiano ha consolidato (Prospero, 2015).

A recarsi alla Casa Bianca, dunque, è il leader di un partito che forse davvero per la prima volta dimostra una varietà d’opinioni pari a quella che Veltroni imputava ai Democrats americani citando il Reverendo Jesse Jackson da un estremo e lo stesso Obama dall’altro. Che assomma le cariche di Segretario e Presidente del Consiglio e governa radicalizzando la natura monocratica (vera) della prima carica con quella (virtuale) della seconda anche attraverso un rapporto decisamente im-mediato con gli organi d’informazione. Che, nel bene e nel male, ha spiazzato le tradizionali posizioni nei confronti del partito di centrosinistra italiano delle forze politiche come di quelli che Agostini (2004) chiamava giornali-partito.

Guardando alle prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali di sabato 18 aprile 2015, il giorno dopo l’incontro, ecco emergere strategie di rappresentazione molto più complesse delle forme di “avversarismo” che testate come la Repubblica e di “collateralismo” che quotidiani come Il Giornale riservavano a Silvio Berlusconi.

La Repubblica, in particolare, si pone su una linea sostanzialmente istituzionale, con una prima pagina che rispecchia da vicino quella del maggior competitor a livello nazionale, il Corriere della Sera. Medesima scelta dell’immagine: Renzi e Obama con le mani l’uno sulla schiena dell’altro, in un gesto d’amicizia che però può essere colto solo riprendendoli di spalle, posa assai poco cerimoniale e non del tutto in linea con i titoli. Questi ultimi (“Crescita, modello America” per il Corriere, “Obama a Renzi: avanti sulle riforme” per la Repubblica) pure riflettono una comune (ma non scontata, secondo le rispettive tradizionali posizioni verso il PD) intenzione di sottolineare la comunità d’intenti tra il Presidente del Consiglio italiano e il Presidente degli Stati Uniti d’America. Di corredo, in entrambi i casi, i nodi critici, in un caso interni (“Senato, prove di dialogo nel Pd” per la Repubblica), nell’altro esterni (“La cautela di Barack su Libia e Russia” per il Corriere).

Incontro Obama Renzi prima pagina Repubblica Corriere del 18 aprile

Incontro Obama Renzi prima pagina Repubblica Corriere del 18 aprile

Il Giornale, al contrario, si dimostra estremamente “fedele” alla sua linea politica tradizionale, scegliendo di aprire non con l’incontro Renzi-Obama ma con la “rivincita giudiziaria” dell’ex Cavaliere (“Berlusconi, giochi riaperti”). Significativamente, a voler collegare in forma implicita le due notizie, sta l’immagine di Renzi, che però non è collegata al fatto del giorno, ma alla perdita di fiducia che il Presidente del Consiglio starebbe subendo nei sondaggi. Una scelta, quella di ignorare il “media event” avvenuto il giorno precedente, non spiegabile solo con la volontà di concentrarsi su fatti che non siano già stati ampiamente sviscerati e commentati online nelle ore precedenti all’uscita in edicola dei quotidiani. La coscienza di questo limite non ha, infatti, mai impedito alla stampa italiana di celebrare eventi che ormai per i suoi lettori non avevano più alcun elemento di novità, ma sui quali ci si aspetta ancora un approfondimento, un commento, una qualche presa di posizione “estranea” alla cronaca – esemplificativo in questo senso il taglio alto concesso da Il Foglio all’editoriale di Guido Vitiello, che mette in guardia l’intelligentia nostrana dallo stigmatizzare l’everyman che, da Mike Bongiorno in poi (Umberto Eco docet) attrae le simpatie degli italiani.

È dunque una scelta precisa quella di non inserire in prima pagina l’incontro tra Obama e Renzi, una sorta di ostracismo mediatico che Il Giornale condivide (prevedibilmente) con Libero e Il Manifesto, concentrati l’uno sull’ennesimo fenomeno di intolleranza religiosa, e segnatamente sulla Boldrini e i “negazionisti del barcone”, l’altro sulla chiusura dello stabilimento casertano della Whirpool. Meno prevedibile, ma molto simile la scelta del gruppo di quotidiani riuniti sotto l’etichetta “QN”: ancora una volta al centro del dibattito la Presidente della Camera, ma con un titolo che Il Giorno sintetizza in “Credere, Boldrini e Combattere”, in riferimento alla volontà d’intervenire sull’obelisco mussoliniano del Foro Italico.

titolazioni

Stupisce, la scelta “ostracista”, a maggior ragione alla luce del perfetto esempio di “avversarismo” offerto da il Fatto Quotidiano, che prende spunto dall’incontro Renzi-Obama per attaccare il Presidente del Consiglio sulla ferita attualmente più esposta, i ritardi dell’EXPO: “Padiglioni EXPO: uno su 4 non ce la fa ma Obama non lo sa” titola il quotidiano diretto da Marco Travaglio, con un collegamento platealmente forzato ma tutto sommato “orecchiabile”.

Che quadro emerge da queste prime pagine? Forse, quello di un contesto italiano certamente non più bipolare, né politicamente né mediaticamente. Comunque dominato dal personalismo politico e dalla volontà dei giornali di prendere posizione rispetto a quello che viene da più parti accusato di essere “un uomo solo al comando”; ma non ancora mauro per definire con nettezza queste posizioni nei termini classici di “avversarismo” e “collateralismo” ai quali il “ventennio berlusconiano” ci ha abituati.

Tratto da www.mediamonitor-politica.it

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