“La domanda Erasmus si potrà presentare entro lunedì 7 Marzo”: la news sul sito del Dipartimento l’avevo letta bene e più volte perché “un’occasione del genere”, mi dicevo, “non si può perdere”.
La data del 7 Marzo, sulla mia agenda, è segnata in rosso perché mai avrei potuto correre il rischio di non affollare lo sportello Erasmus per consegnare la mia domanda per provare a volare. Così, come me, decine, centinaia o forse migliaia di ragazzie e ragazzi hanno avuto una scadenza al loro sogno: esplorare il mondo, viverlo, trasformare lo studio in esperienza di vita. Sogni comuni per ragazzi diversi. E quella stessa motivazione che viene richiesta per giustificare il desiderio di partire: perché vuoi vivere l’Erasmus?
Vivere l’Erasmus, appunto.

Il percorso è in salita: occorre leggere il bando e studiarne i cavilli, esplorare i piani di studio di università lontane, rispolverare l’inglese, il francese, lo spagnolo… Ma non importa: a vent’anni, o poco più, si ha voglia di andare. Perché, cari genitori, cari professori, la vita non può essere tutta qui.
La vita, tra un esame e l’altro, è poter cominciare a sentire l’odore di nuove quotidianità, assaporare il gusto dei giorni trascorsi distanti da casa e capire, per la prima volta, che casa può essere anche un nuovo luogo, una patria amorevole che per pochi mesi ti accoglie e poi per sempre ti conquista e ti apre il cuore.
7 marzo, un lunedì, praticamente ieri. Chissà quale sia stato il lunedì in cui Lucrezia, Elisa, Valentina, Elena, Serena, Elisa e Francesca abbiano deciso di dirlo a gran voce “Sì, lo faccio. Ora o mai più”. Chissà se le loro firme sull’agognata domanda Erasmus abbiano avuto il tratto sicuro di coraggiose avventuriere o la grafia di mani tremanti e timide alla scoperta del mondo.
“L’Erasmus fa curriculum, l’Erasmus è un’esperienza di crescita accademica”: probabilmente le nostre ragazze, di ritorno da Valencia, non avevano in mente nessuno di questi pensieri. Più plausibile, invece, che avessero ancora negli occhi le strade e le bellezze di Valencia, nelle orecchie il ritmo della musica ballata tutta la notte e nella gambe la stanchezza di chi quella meravigliosa Fiesta de Las Fallas voleva viverla fino in fondo, non lasciando privo di ricordo nemmeno un momento.
I pensieri che accarezzavano il viaggio delle sette studentesse italiane e delle altre sei vittime restano a noi segreti. Molto più chiari, purtroppo, i dettagli della strage: l’autobus che riportava gli universitari a Barcellona si è ribaltato, domenica intorno alle 6, a Frejinals, sull’autostrada Ap7.
“Lo siento, me he dormido”, “Mi dispiace, mi sono addormentato”: l’autista, 63enne, ha confessato il suo colpo di sonno ed è ora indagato per omicidio “per imprudenza”.
Una notte di divertimento ha mostrato il volto più crudele dell’inferno: quello che vive nella terra degli uomini e si nutre della loro fallacità, cogliendo inaspettata la vita e irrompendo senza rispetto nei sogni, nelle ambizioni e nella bellezza.
Oggi, nei sogni infranti delle giovani studentesse, ci siamo tutti noi: siamo nell’amore che Valentina provava per Barcellona e che l’aveva portata a pensare di prolungare la sua permanenza, siamo negli occhi verdi di Elena che ci trafiggono dalla pagina di un quotidiano, siamo nella dignità dei genitori di Serena, siamo nel sogno di diventare medico di Elisa e Francesca, siamo negli esami di Economia che Lucrezia avrebbe voluto continuare a sostenere, siamo nella passione per la Filologia di Elisa. Sogni comuni per ragazze diverse.
Su quell’autostrada abbiamo perso tutti qualcosa e l’abbiamo lasciata lì, tra le lacrime di genitori che, come i nostri, sono stati pronti a tutto pur di dare forma e colori ai sogni dei propri figli.
Ma, cara mamma, io parto lo stesso per l’Erasmus. Perché l’Erasmus voglio viverlo.

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