Mattina del 21 marzo, solito giornale, preso al volo all’entrata dell’Università: “La strage delle ragazze Erasmus”. Leggo attentamente l’articolo, curiosa, spaventata, incredula.
Sette ragazze italiane morte in un incidente. Un banale incidente.
Fisso le foto di Francesca, Elena, Valentina, Elisa, Serena, Lucrezia, Elisa, studentesse come me, come noi. “Studentesse Erasmus” significa cercare la maturità degna di un ventenne; liberarsi dall’etichetta di giovani mammoni ed acquisire la consapevolezza che oltre le mura di casa c’è un mondo da scoprire.
Elisa Valent, era, anche, la majorette del paese. Osservo la sua foto e una divisa rossa e bianca. La stessa foto, più o meno, che conservo sul comodino della mia cameretta in cui, anche io, con un’espressione timida e un po’ impacciata, muovo i pon-pon a destra e a sinistra.
Un’altra immagine mi torna in mente, fortissima: il giorno del coraggio, il giorno della domanda Erasmus. No, un’altra ancora più forte: mia sorella, anche lei studentessa, che mi saluta all’aeroporto con in mano un biglietto di sola andata.
“Studentesse Erasmus”, con troppi biglietti di sola andata. Ma con la voglia di vivere e la consapevolezza di poter riuscire a trasformare la paura in voglia di futuro.
“C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura. La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso…” (Dal film Into the wild)