Arrivano nel nostro Paese senza nulla, eppure portano con loro un bagaglio molto pesante. Sono storie poco raccontate quelle dei minori non accompagnati, a cui l’incontro “Il bagaglio dei minori migranti”, che si è svolto venerdì 20 gennaio presso l’Aula Magna del Rettorato Sapienza, ha cercato di dare nuovo risalto.
Alla presenza del Rettore Eugenio Gaudio, gli interventi dei partecipanti al convegno hanno permesso di introdurre il tema del libro “Il Bagaglio”.

Migranti minori non accompagnati: il fenomeno in Italia, i numeri, le storie” del giornalista e scrittore Luca Attanasio. Accanto a lui Mohammed Keita, uno dei ragazzi protagonisti del libro, che oggi è diventato un fotografo professionista e a cui è stata dedicata la mostra “Going back” presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea della Sapienza.Alla tavola rotonda, coordinata dal professor Mario Morcellini, Consigliere alla comunicazione e Portavoce del Rettore, ha partecipato tra gli altri anche Silvia Costa, Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo, che ha affermato:

“Il merito del libro è ricostruire cosa c’è dietro il fenomeno, raccontando le storie di questi ragazzi, quello che attraversano, come li accogliamo. Si alzano muri a livello europeo e mondiale non facendo distinzione tra minori, adulti o famiglie, ma i diritti umani vengono prima di quelli di cittadinanza”.

Dai vari interventi è infatti è emerso un diffuso senso di estraneità e indifferenza verso questo fenomeno e, come ha sottolineato Morcellini, questo è dovuto in parte a un lessico deumanizzato che ci ha abituato alla normalità di etichette come “non accompagnati”. Ma per un minore essere da solo è tutt’altro che una normalità, ne deriva quindi la necessità di “studiare le cause di questi fenomeni – ha detto il Rettore Eugenio Gaudio – e un impegno sempre maggiore da parte del mondo accademico. Oltre la tragedia, questi giovani rappresentano una vera e propria opportunità”.

Il Bagaglio
Mohammed Keita ha solo nove anni quando vede i genitori morire sotto il tetto della sua stessa casa, in Costa D’Avorio, a causa delle bombe della guerra civile. “C’è un bagaglio pronto che ti aspetta e puoi portarlo solo tu”, è la frase che il padre ripeteva sempre a Keita, frase che spinge un ragazzo solo, analfabeta e senza soldi a lasciare la propria terra e ad unirsi a un gruppo di profughi. Il desiderio è uno soltanto: raggiungere l’Europa. Il viaggio dura ben tre anni e mezzo, anni durante i quali Keita attraversa sei Paesi, via terra e via mare, assiste a violenze di ogni tipo perpetuate dalle mafie delle tratte e vede molti suoi compagni di viaggio morire. È solo all’età di 17 anni che riesce a raggiungere Roma, dove inizialmente vive alla stazione Termini e con una macchina fotografica usa e getta inizia a fotografare i suoi “vicini”: barboni, uomini e donne soli, una popolazione disperata dietro cui si cela una storia, un’anima che Keita sente l’impulso di fotografare. Rivoltosi a CivicoZero, una cooperativa di Save the Children per minori non accompagnati, ottiene la visita medica dalla Commissione per l’accertamento dell’età dove il responso è assolutamente falso: il ragazzo ha 18 anni e per questo deve essere espulso. È grazie al ricorso di CivicoZero se a Keita è stata accertata l’età reale e oggi, avendo potuto usufruire della formazione e dell’assistenza riservata ai minori non accompagnati in Italia, è riuscito a diplomarsi all’alberghiero e lavora come fotografo.
Questa è la prima delle storie con cui si apre il libro, narrata in prima persona, che porta il lettore a scrutare da vicino tutto quello che sta dietro l’arrivo dei migranti, soprattutto dei minori non accompagnati, sulle nostre coste. Il lungo viaggio di Keita e le difficoltà incontrate dal ragazzo, permettono infatti all’autore di approfondire tutti i temi che fanno da sfondo. Nel 2014, in gran parte grazie agli effetti dell’operazione Mare Nostrum, sono giunti in Italia 14.243 minori non accompagnati, di questi, 3.707 sono scomparsi, divenuti irrintracciabili. E se molti hanno proseguito nel loro progetto di viaggio verso altri Paesi, per raggiungere amici e parenti, è difficile dire quanti siano i minori intercettati e sfruttati dalla criminalità nello spaccio e nella prostituzione. Infatti non c’è solo la storia a lieto fine di Keita. Saddam, in una comunità in Umbria fino ai diciotto anni, una volta uscito non riesce più a mantenersi e, senza dire niente neanche agli operatori che continuavano a seguirlo, scappa a Roma finendo in un circolo criminale, dove è costretto a rubare e spacciare.
Attanasio realizza in due anni un totale di 32 interviste con i giovani e 20 interviste con gli operatori e gli esperti, per far emergere quelle criticità che imprimono mutamenti alle esistenze di questi bambini cresciuti troppo in fretta, per coraggio, incoscienza o disperazione. Raccoglie anche dati e schede sui Paesi d’origine, sulle diverse motivazioni che spingono questi giovani a lasciare le loro case e tuffarsi nell’ignoto, rivelando anche fenomeni sconosciuti, come quello dei “Kidnapped Minors”, soprattutto del Corno d’Africa, dove i minori, vengono rapiti, portati nella penisola del Sinai e liberati soltanto dopo il pagamento di un riscatto da parte dei familiari. Per chi ce la fa, però, molto spesso non è ancora finita. Sulla testa di molti ragazzi giunti in Europa pesa un “debito” contratto dalla famiglia con i trafficanti per pagare il viaggio. Si tratta di somme esorbitanti che, per essere restituite, privano i ragazzi della libertà sin dal primo momento in cui mettono piede sul territorio europeo: oppressi dal senso di colpa, infatti, rinunciano alla formazione per trovare al più presto uno o più lavori per mandare i soldi alle famiglie.
L’Europa però, come scrive nella prefazione il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, «pretende di “mandare a casa” chi non risulta di nazionalità siriana, irachena o somala». Va ricordato che in Italia il testo unico sull’immigrazione 286 del ’98 vieta l’espulsione «nei confronti degli stranieri minori di anni 18, salvo il diritto a seguire il genitore» espulso. In questo contesto, il ruolo dell’accoglienza diventa cruciale. Attanasio non manca di denunciare la pessima organizzazione di alcuni centri di accoglienza, un vero e proprio business sulle spalle dei migranti, come testimoniato dallo tsunami “Mafia capitale”, ma valorizza anche esperienze come quella del comune di Torino dove pochissimi minori accolti sono fuoriusciti da percorsi di formazione obbligatori, minimi sono i numeri di quelli coinvolti in microcriminalità, buoni i dati riguardanti gli inserimenti lavorativi e alloggiativi.
Attanasio non parla solo di accoglienza, ma di “occasione storica” per l’Europa, in grado di far “fiorire risorse inattese e insperate in modo che la nostra società diventi migliore”.

Alcune riflessioni sul libro
Questo libro tratta un tema a cui ancora troppo poco spazio è stato riservato in Italia, con l’ulteriore merito di averlo fatto in maniera approfondita per arrivare alla radice del fenomeno. Un tentativo che assume ancora più valore poiché il suo autore, giornalista, recupera il ruolo di orientamento e di approfondimento delle notizie richiesto ai mass media ma che, nel tempo, sembra essere venuto meno per cedere il posto a notizie sempre più veloci e superficiali.
Con l’agilità del racconto, il testo propone al lettore dati, interpretazioni e analisi, non risparmiando alcun dettaglio utile alla comprensione, neanche la copertina che, in modo diretto, riporta la radiografia dello scanner che a maggio 2015 rivelò a Ceuta un bambino ivoriano di 8 anni nascosto dentro un trolley.
Come evidenziato nell’introduzione da Stefano Trasatti, direttore di Redattore Sociale, il libro si distingue innanzitutto per quella che può essere definita un’azione civile, cioè dare rilevanza a un aspetto delle migrazioni che non può essere confuso con l’imponente flusso dei migranti degli ultimi anni, proponendo un racconto ragionato che, a differenza di rapporti e dossier, parte dalle storie per poter spiegare dati e fenomeni. Una scelta che consente ad Attanasio di rendere la narrazione più autentica attraverso tre espedienti che riguardano non solo la scelta delle informazioni da fornire e i termini da utilizzare, ma anche e soprattutto le fonti da interpellare.

  1. L’assenza di frame narrativi: è evidente la volontà di liberare il campo da concetti già strutturati, il libro infatti propone nuove prospettive per rispondere alle domande generate dal nodo complesso delle migrazioni, evitando la dicotomia del noi/loro, del migrante pericoloso/vittima. Nell’introduzione il sindaco di Lampedusa riflette sull’estrema riduttività di attribuire l’etichetta di “migrante economico” a chi si trova a scegliere tra la certezza di una vita affamata e miserabile e la speranza di una vita dignitosa, critica le barriere poste da un’Europa vecchia e viziata dall’istinto di conservazione, che sovrappone il “problema” alle “persone”, respingendole.
  2. La storia di Keita: la scelta di affidare al racconto in prima persona del ragazzo l’apertura del libro, allontana un tipo di lettura “mediata” e già dibattuta del fenomeno, proiettando il lettore direttamente nei fatti e semplificando la comprensione dell’analisi successiva. Si tratta di una scelta in controtendenza, troppo spesso nei dibattiti mediatici alla voce dei migranti si sostituisce quella di politici o di “esperti” sul tema. Come Attanasio afferma all’interno del libro, “Lungi dal voler essere esaustivo, Il bagaglio mira a gettare una prima luce sulla questione e a far parlare direttamente i minori stranieri non accompagnati, a dare loro voce, considerandoli la fonte più autorevole per descrivere un fenomeno che interessa fortemente il nostro paese, e permetterci così di comprendere qualcosa in più su quanto vi ruota attorno” (pag.58).
  3. Schede e dati: quella che potrebbe essere la parte un po’ più “fredda”, poiché analitica, viene invece piegata al servizio della narrazione. La seconda parte del libro, infatti, propone una serie di stralci di interviste a supporto di dati e analisi che consentono all’autore di porsi come interprete dei fatti senza operare forzature sui contenuti, affidandosi sempre a fonti primarie per affrontare nodi complessi quali la gestione dei flussi migratori in Italia e la condizione psicologica dei minori che giungono nel nostro Paese.

Rinunciando a cliché e canovacci ormai consolidati e ricorrendo a fonti dirette, il libro non tratta il “tema immigrazione”, ma si propone di dare risposte a domande già ampiamente formulate. La lezione è importante, in un’epoca in cui l’Europa si dimostra afona di fronte alla sfida posta dalle migrazioni, ognuno dovrebbe ascoltare le parole di questi giovanissimi per capire che dietro i numeri ci sono facce e vite, “un bagaglio”, come quello che il padre prospettava a Keita, “Nella vita c’è un bagaglio che ti aspetta, quel bagaglio lo puoi prendere solo tu”, punto di connessione con un passato e con la scelta di un futuro. Un bagaglio soprattutto metaforico, poiché i giovani arrivano in Italia senza nulla, se non il coraggio e la voglia di ricominciare.

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