Ore 16, metropolitana linea B direzione piazza Bologna. Di fronte a me due signore, probabilmente sulla cinquantina, entrambe mamme: una di un ragazzo di 20 anni di nome Luca, studente di giurisprudenza e l’altra di una ragazza di 19 anni di nome Eleonora all’ultimo anno del liceo scientifico. Non si conoscevano prima. Si sono scontrate per una brusca frenata della metro e hanno iniziato a parlare, commentando notizie che apparivano sul display: in rapida successione gli aggiornamenti sulla tragica vicenda del bus di Barcellona. L’una guarda l’altra e afferma “Mio figlio non lo manderò se vorrà andare in Erasmus, è pericoloso. Non potrei vivere se gli succedesse qualcosa” e la mamma della ragazza replica “Sì, neanche io, la mia si iscriverà l’anno prossimo a scienze politiche. La manderò anche fuori a studiare ma all’estero con quel che si sente e quel che succede non ci penso nemmeno”.
Chissà quanti altri discorsi simili ci saranno stati da Nord a Sud d’Italia.
Tanti, troppi. Io, da ventitreenne, mi potrei semmai spaventare per gli attentati di Bruxelles, di Parigi, di Ankara e così via. Imprevedibili, incontrollabili.
Di certo non per l’incidente in Spagna. Ho tra l’altro appena sostenuto le prove per andare in Erasmus dai “cugini” spagnoli e l’ho fatto con la massima serenità. E non perché non reputi grave, triste, debilitante o destabilizzante quello che è successo a Barcellona, anzi.
L’Erasmus dovrebbe essere obbligatorio per chi intraprende un ciclo di studi in università. Intantoè una scelta e anche una speranza. Si sceglie di mischiarsi con nuove culture, con nuove persone, nuove lingue, nuovi luoghi e, soprattutto, con un nuovo “io”.
L’io all’estero. L’io lontano dalle belle convezioni del nostro caro “Bel Paese”, lontano dagli affetti e da “un modo di vivere” che è quello a cui si è sempre stati abituati sin dalla tenera età.
Le signore della metro B rovinano tutto questo.
La paura per i propri figli/e è legittima ma non è relegando qualcuno al proprio paese, casa o stanza da letto che si salva la libertà e la vita di chi si ama. Esserci comunque lasciando liberi di vivere dovrebbero essere gli ingredienti per una giusta miscela d’amore.
Penso al dolore che avrei provato se una di quelle ragazze fosse stata una mia amica, fidanzata o, al maschile, amico, fratello. Muoio dentro. Ma è proprio questa la molla che ci deve fare vivere queste disgrazie come “casi” che sarebbero potuti succedere ovunque, in qualsiasi altra situazione, paese, luogo e status non di studentesse ma di lavoratrici o semplici turiste.
Il programma Erasmus, nelle sue varie forme, esiste dal 1987 e non mi pare sia mai stata funestata da tutti questi incidenti, da persone disperse o cambiate, in negativo, per sempre. Non sono un fanatico dell’estero come unica via d’uscita dalle brutture del nostro Paese perché nonostante tutto sono legatissimo e amo la mia terra. Ma sono convinto che viaggiare sia fondamentale soprattutto quando si è giovani e per motivi di studio.
Un amico, che ha già vissuto l’esperienza Erasmus più volte, mi ha detto che ti “sprovincializza” e io ci credo.
L’Erasmus dà la possibilità di crescere, migliorarsi e confrontarsi. Credo che il programma Erasmus non si faccia ma si viva. Quando penso alla straordinaria possibilità che ci viene offerta e proposta a noi giovani studenti universitari mi vengono i brividi.
Conoscere, sia culturalmente che interiormente, rende liberi.