C’era una volta la “partecipazione dal basso”. Eravamo tutti convinti che con il cosiddetto web 2.0 sarebbero stati abbattuti i muri dei circoli chiusi, dell’esclusività. E invece… Molti interrogativi stanno popolando la discussione attorno al tema della democrazione al tempo della Rete, del web come sistema democratico e luogo delle pratiche di libertà relazionali.

Francesca Comunello e  Simone Mulargia, hanno provato a rispondere almeno a una parte di queste domande all’interno del panel sulla libertà di comunicazione in rete, nell’ambito del convegno Una cultura per la società dell’informazione, ultimo di un ciclo di incontri promossi e organizzati dagli Atenei pubblici romani, in collaborazione con le Università regionali e con il MIUR, e sollecitati dal Comitato Regionale di Coordinamento delle Università del Lazio e dal suo Presidente, in occasione del Giubileo della Misericordia.

La Rete, dunque, e la cittadinanza: siamo utenti attivi e partecipi, possiamo esprimere opinioni, scambiare idee con altri naviganti e cercare conferma alle nostre certezze. Ci informiamo, comunichiamo, facciamo ricerche. Ma la grande, esagerata, mole di informazioni favorisce solo una parte di utenti. Una minoranza che diventa produttrice di contenuti, mentre costringe altri ad una sorta di marginalità digitale che li rende spettatori di quello che accade. Inoltre il sistema economico sta riuscendo, a modo suo, a lucrare anche in questo territorio, naturalmente slegato dal concetto di profitto e di retribuzione.

Ci sono determinate piattaforme che, in quest’ottica, non tendono a creare profitto monetario, ma più semplicemente si appropriano dei dati personali degli utenti; proprio come fa Facebook, il social network più diffuso al mondo che, in termini numerici, costituisce la prima potenza mondiale. E le nostre informazioni – però – sono al sicuro? C’è una tensione forte, un rapporto dialettico, tra chi cerca di quantificare e di sapere tutto ciò che riguarda la nostra identità per scopi commerciali, raggiungibili in modo legittimo, e chi, come un filone crescente di attivisti interessati alla questione, rivendica prepotentemente la tutela della privacy online, fino a giungere alla creazione di un vero e proprio dibattito pubblico riguardante l’ostica questione legata del diritto all’oblio.

A fronte di questi problemi pare ancora più opportuno e necessario sviluppare adeguati sistemi di governance volti a tutelare a proteggere l’utente digitale.

Ulteriori dubbi sono stati sollevati riguardo l’indicizzazione delle informazioni online: spesso gli algoritmi di selezione necessari per evidenziare una notizia tendono ad attribuire un peso variabile ad argomenti diversi, causando una sorta di opacizzazione di determinati contenuti. Ovviamente questi sistemi sono necessari per aiutare l’internauta a districarsi nel mare magnum del web, così sovraccarico di notizie da sembrare ingestibile, ma allo stesso tempo lo costringono a “subire” date informazioni, giocando sulla sua inconsapevolezza e, spesso, sulla sua inesperienza.

È quindi necessario comprendere che, ovviamente, il web ha dato la possibilità anche alle persone comuni di potersi esprimere, di poter dar voce a determinate idee, ma ha anche riproposto certe politiche discriminatorie che già si attuavano nel mondo reale.

Se da una lato Internet ha favorito la libertà di comunicazione, dall’altro ha creato la necessità di essere utenti consapevoli. Istruiti, capaci, prudenti.

Si è liberi nella rete se si è competenti. Con qualche vantaggio rispetto al caro e vecchio mondo, ma comunque portatori di conoscenze senza le quali affacciarsi su di un panorama così vasto sarebbe impossibile.

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