Il 12 marzo 2015 il Parlamento dell’Unione Europea riconosce le unioni civili e le nozze tra persone di uguale genere (con 390 voti a favore, 151 no e 97 astensioni in sessione plenaria), invitando i vari Governi alla riflessione e alla collaborazione per garantire la tutela di questo tipo di diritti.
In quello stesso mese di marzo, l’Italia si impegna attivamente con le Nazioni Unite per la realizzazione di un documento presentato al Consiglio dei Diritti Umani; ma già a luglio viene richiamata dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo con questa motivazione: “La Corte ha considerato che la tutela legale attualmente disponibile in Italia per le coppie omosessuali non solo fallisce nel provvedere ai bisogni chiave di una coppia impegnata in una relazione stabile, ma non è nemmeno sufficientemente affidabile”.

Preso atto della necessità di intervenire nuovamente sul tema, il Parlamento UE, nel “Rapporto sulla situazione dei diritti fondamentali nella UE” approvato l’8 settembre 2015, torna a chiedere a nove Stati membri, tra cui l’Italia, di “considerare la possibilità di offrire” alle coppie gay istituzioni giuridiche come la “coabitazione, le unioni di fatto registrate e il matrimonio”. Il PE chiede inoltre alla Commissione Europea di “presentare una proposta di normativa ambiziosa che garantisca il riconoscimento mutuo” delle unioni e matrimoni registrati in altri Paesi in modo da “ridurre gli ostacoli amministrativi e giuridici discriminatori che devono affrontare i cittadini”. Strasburgo condanna con la “massima fermezza la discriminazione e la violenza” commesse contro questa categoria di persone, chiedendo agli Stati di “sanzionare” le cariche pubbliche che “insultano o stigmatizzano omosessuali e transessuali”.

Veniamo ai giorni nostri. Il febbraio 2015 il Senato della Repubblica Italiana approva la fiducia chiesta dal Governo Renzi al maxi-emendamento presentato al “disegno di legge Cirinnà bis” sulle unioni civili. Dopo l’approvazione del Senato, con 173 voti a favore e 71 contrari, il ddl passa in discussione alla Camera dei Deputati.
Con questo maxi-emendamento vengono estesi alle coppie omosessuali i diritti derivanti dal matrimonio civile. Stralciati invece, tra molte polemiche, i riferimenti alla “stepchild adoption” – lasciando, tuttavia, al tribunale la discrezionalità di consentirla valutando i vari casi volta per volta – e abolito l’obbligo di fedeltà per i contraenti. Il disegno di legge estende alle coppie che contraggono unione civile i diritti e i doveri previsti per le coppie sposate, dalla residenza comune alle pensioni di reversibilità, dal diritto di subentrare al contratto di affitto alla possibilità di decidere il regime di comunione o separazione dei beni, dalle decisioni da prendere per l’assistenza sanitaria dell’altra persona o all’accesso ai congedi matrimoniali o agli assegni familiari fino alle graduatorie pubbliche.

Ad oggi nell’Unione Europea sono 15 gli Stati che si sono dotati di una normativa per riconoscere il diritto al matrimonio per le coppie omosessuali, mentre la sola unione civile è riconosciuta in Svizzera, Austria, Germania, Ungheria, Croazia, Grecia. Proprio quest’ultima, in ordine di tempo, è stata l’ultima a dotarsi di una struttura normativa in grado di disciplinare e tutelare questo genere di situazioni.
Cipro, la Lituania, la Lettonia, la Polonia, la Slovacchia, la Bulgaria e la Romania a tutt’oggi ancora sono prive di qualsiasi forma di tutela per le coppie omosessuali.

I diritti civili in UE: una tabella di sintesi

Riconosciuto il matrimonio tra coppie omosessuali 1989 Danimarca
2001 Olanda
2003 Belgio
2005 Spagna
2009 Norvegia
2009 Svezia
2010 Portogallo
2010 Islanda
2013 Francia
2013 Gran Bretagna
2015 Lussemburgo
2015 Slovenia
2015 Irlanda
Legalizzate le adozioni dei figli del partner 2001 Olanda
2002 Finlandia
2003 Svezia
2006 Belgio
2006 Islanda
2009 Norvegia
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